sabato 31 agosto 2019

Pluralismo e Accoglienza

Il pluralismo, nelle scienze sociali, è la condizione di una società in cui individui e gruppi diversi per razza, etnia, religione, cultura, orientamento politico o altro, coesistono nella tolleranza, quindi per quel che riguarda l’accoglienza è una condizione imprescindibile in quanto essa possa realizzarsi in maniera ideale con tutti i fattori relativi del vivere sociale “dignitoso e decoroso”.

 Il pluralismo o meglio i pluralismi sono per natura stessa in contrapposizione con razzismo e xenofobia. La domanda è “Quale Pluralismo è la risposta più persuasiva al razzismo” (Madrussan, 2016). 




Un pluralismo indefinito, soprattutto se rimane prigioniero dei “buoni ideali e della buona volontà”, corre il rischio di essere debole socialmente, rischia a sua volta di semplificare l’esistente risultando inefficace nella sfida dell’accoglienza contro i suoi avversari. 


Il nesso tra etica e società dovrebbe essere valorizzato ma attualmente invece le pulsioni sociali tendono nella direzione opposta e la socialità viene ricondotta alla sua dimensione più arcaica, condizione questa che declina non solo pratiche razziste più o meno esplicite, ma anche anche differenti forme di ingiustizia sociale ed economica in generale. 


Nel senso, l’accessibilità limitata ai servizi sociali, ai diritti, ed al lavoro auspicata da certe tendenze non corrisponde per nulla ad un miglioramento delle condizioni economiche e della qualità della vita dei cittadini autoctoni (detto questo, anche se ciò corrispondesse per assurdo, andrebbe sul piano etico-sociale comunque respinto). 


 Prevalgono indifferenza e tacito consenso verso le politiche restrittive in materia di accoglienza, fenomeno che riattualizza il concetto di “Banalità del Male” della Arendt con protagonisti quei medesimi soggetti che la studiosa tedesco-americana definì “delinquenti senza delitto” ovvero coloro che appoggiano volontariamente questo stato di cose.


 L’azione e l’interazione nel sociale devono essere valorizzate dalla comprensione del pluralismo con una sua estensione di contenuti, prassi, visioni, e domande veramente “plurali” che pongano esso come orizzonte “piuttosto che giustificarne i contenuti” (Madrussan, 2016).


 In un’ottica di creazione dell’ apprensione “securitaria” in controtendenza rispetto alla realtà della diminuzione dei reati nel nostro paese, da anni è diventato naturale associare la parola sicurezza a immigrazione, e recentemente sicurezza a richiedenti asilo, rifugiati, e profughi.


 “Il Pluralismo è esso stesso plurale” come sostiene Odo Marquard e plurali sono le forme di conoscenza di sé e dell’altro, la pluralità della coscienze e la “salvaguardia delle storie particolari” che ogni individuo si porta appresso (le quali rischiano di essere offuscate dall’universalismo totalizzante); in questa visione si possono trovare le risposte ai “razzismi”e alle “intolleranze” , e il volano dell’accoglienza.


 Altra situazione che va affrontata sul piano analitico è quella del fatto che i migranti vengano spesso socialmente identificati come privi di cultura e di “civiltà”, oltre che poveri e quindi elementi di fastidio.


 La loro identità viene fatta coincidere quasi esclusivamente con il colore delle pelle e le caratteristiche etniche sono associate con modalità comportamentali delinquenziali.


 Dall’immigrato è pretesa “immediatezza” nella conoscenza delle norme legislative e nell’adeguamento agli stili di vita degli ospitanti quanto l’acquisizione dei medesimi.


 Tutto ciò è “antipedagocico”, si priva il soggetto di rispettare e mantenere le sue radici culturali originarie e si corre il rischio di creare un effetto contrario che mette il migrante in una condizione ancora più difficile rispetto alla sua inclusione e alla sua interazione con la società ospitante.


 “L’immigrato si trova ad essere oltre che csenos, straniero, anche chenos, privo di tutto, ovvero del suo essere culturale d’origine, a cui non potrebbe più fare capo, e pure di quello che si pretende faccia proprio in poco tempo, e che non dovrebbe essere obbligato ad assimilare per convivere con gli autoctoni” (Kaiser, 2016) .


 La xenofobia, ovvero l’ avversione indiscriminata nei confronti degli stranieri e di tutto ciò che proviene dall’esterno di un contesto locale, è la negazione del pluralismo. 


La xenofobia si affronta in primis sicuramente sul piano pedagogico e culturale ma anche sul piano politico e del diritto.


 La giurisprudenza sempre più spesso è coinvolta a prendere posizione riguardo la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina e nei confronti del diritto di cittadinanza. 


 L’ultima legge sulla cittadinanza, introdotta in Italia nel 1992 prevede un’unica modalità di acquisizione chiamata ius sanguinis (“diritto di sangue”), e questa è da tempo considerata carente perché esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia e lega la loro condizione a quella dei genitori (il cui permesso di soggiorno nel frattempo può scadere e costringere tutta la famiglia a lasciare il Paese).


 Per queste ragioni nella scorsa Legislatura è stata presentata una legge il cui titolo, “ ius soli ”, ne riassume la sostanza: un bambino nato in Italia diventa automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni.


 Purtroppo il tutto si è arenato per motivi politici ed istituzionali che non staremo qui a menzionare. 


 Questa difficoltà a ottenere la cittadinanza italiana crea ai figli di immigrati e ai loro genitori difficoltà pratiche e psicologiche (il non sentirsi fino in fondo “parte” della comunità in cui i ragazzi vivono e studiano).


 Il compito arduo degli anni a venire di tutti coloro che lavorano e interagiscono con immigrati, profughi, richiedenti asilo e soggetti similari, sarà quello di modificare/superare la percezione generalizzata che considera il migrante non una persona che affronta un oneroso e pericoloso viaggio al fine di migliorare la sua condizione e quindi degno di essere accolto, aiutato e avviato all'inserimento, ma è vissuto come un estraneo che comporta una minaccia.


 L’umanesimo pluralista può offrire gli strumenti adeguati per contrapporsi al nichlismo e alla xenofobia valorizzando la molteplicità dell’essere umano. 


 Piergiorgio Papetti

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