domenica 28 dicembre 2014

Sestri, oh cara! Da "Umanità Nova" n. 37 del 10 novembre 2002

Sestri, oh cara!
Una cittadella proletaria, anarchica e sovversiva dall'avvento
del fascismo alla resistenza 


Quattro luglio 1921: squadre fasciste assaltano la Camera del
Lavoro di Sestri. Nelle loro intenzioni è l'attacco decisivo
dopo mesi e mesi di provocazioni e di aggressioni contro i
lavoratori e la popolazione della cittadella sovversiva del
genovesato. Se si passa a Sestri, si passa a Genova, e se si
passa a Genova anche il nord Italia cadrà in fretta. È questo il
ragionamento - d'altra parte fondato - che ispira i capoccia
fascisti e che porta a pianificare l'azione con cura. Sono
presenti squadristi di altre regioni (prevalentemente toscani) e
come di consueto carabinieri e polizia (con due autoblindo) che
devono garantire "l'ordine". Dentro la Camera del Lavoro sono
però attestati un centinaio di operai e militanti, in gran parte
armati, che sono decisi a resistere. La sparatoria è violenta e
dura fino all'alba del 5, due saranno i feriti gravi tra gli
aggressori. Solo allora i difensori si ritirano da un'uscita
secondaria e i fascisti possono entrare, preceduti da un
autoblindo che sfonda il cancello. È vittoria per i fascisti, ma
una vittoria molto parziale. Infatti nei mesi successivi la CdL
sarà riaperta, di nuovo chiusa e così via (1) fino alla chiusura
definitiva nel settembre del 1922, in un altalenarsi di vicende
(2) che testimoniano tutte le difficoltà dei fascisti ad
espugnare la "fortezza proletaria" del ponente. Tuttavia la
lotta è impari e alla fine i fascisti passano, la resistenza
della classe operaia sestrese è vinta, ma non schiacciata. Duri
scontri tra fascisti, guardie regie da una parte, operai, Arditi
del Popolo, sindacalisti, anarchici e comunisti si protraggono
per quasi tutto il 1922. Le spedizioni punitive dei fascisti
ormai sono all'ordine del giorno, ma continuano a trovare
opposizione, anche se sempre più debole. Nelle fabbriche si
cerca di resistere, l'ultimo sciopero generale, proclamato il 31
luglio del '22, viene seguito con grande compattezza dalla
classe operaia sestrese, ma è veramente il canto del cigno. Il 3
agosto i fascisti scatenano l'attacco definitivo contro Genova e
Sestri. Dopo un paio di giorni di vera battaglia la resistenza
antifascista è piegata, centinaia di squadristi controllano le
strade e presidiano gli stabilimenti. Si scatena la caccia al
"sovversivo". Solamente a Sestri oltre seicento operai, per
sfuggire alle persecuzioni fasciste, devono espatriare
(prevalentemente in Francia) entro la fine del 1922. Molti altri
vengono arrestati o, comunque, perdono il posto di lavoro.

Con la vittoria e l'insediamento stabile del fascismo al potere
si chiude così la prima fase di una lotta che si protrarrà, in
diverse forme, fino all'aprile del '45. Se, come scrive Gino
Bianco: "La resistenza opposta dagli operai e le drammatiche
vicende che accompagnarono la penetrazione del fascismo a
Sestri, offrono un modello in certo modo esemplare di ciò che
accadde e ciò che significò l'irruzione in una 'cittadella
rossa' della violenza fascista e di Stato, eversiva e
sconvolgente di tutti i vecchi rapporti solidaristici e di
quell'insieme di valori, di credenze e anche di miti che
costituiscono una 'comunità operaia'" (3) è pur vero che,
nonostante la totale distruzione del tessuto associativo
solidaristico e produttivo, una comunità proletaria fortemente
integrata alla città, come quella sestrese, ha tutte le risorse
per ricomporsi, anche nelle forme più inusuali.

Sei giugno 1938. Mussolini è in visita a Genova. Decine di
migliaia di operai vengono coattamente avviati a presenziare al
discorso del Duce a Sestri. È un bagno di folla, ma non di
quelli a cui è abituato il gerarca fascista: l'atteggiamento
della massa operaia è gelido e ostile. Mussolini se ne va,
inferocito, e giura che non tornerà più a Genova. È la seconda
fase della lotta antifascista del proletariato sestrese, quella
della resistenza sotterranea, nascosta, ma palpabile.

Per il proletariato sestrese non ci sono più, ormai da anni, le
condizioni per scendere in campo: gli ultimi scioperi risalgono
al 1927 e si tratta di episodi molto limitati. Le organizzazioni
sindacali e politiche della sinistra sono state spazzate via,
l'ultimo segno di vita dell'USI è il convegno clandestino tenuto
proprio a Sestri nel 1925 (4). È la stagione più cupa in cui il
fascismo trionfante e stabilizzato celebra i suoi "fasti". Ma è
anche la stagione nella quale, nel contesto di un sentimento
antifascista generalizzato, i compagni rimasti tentano
faticosamente, ma incessantemente, di tenere vivi i rapporti e
di ricostituire reti di contatti. È la stagione, potremmo dire
parafrasando Danilo Montaldi, dell'antifascismo da osteria:
chiuse le sedi politiche e sindacali, anarchici, comunisti e gli
altri antifascisti eleggono a sedi di ritrovo bar e osterie e
non solo per bersi un bicchiere di vino. È la stagione nella
quale - distrutte le reti dell'associazionismo solidaristico e
produttivo - gli antifascisti sestresi eleggono a sede
cospirativa "interpartitica" i locali della Croce Verde
Sestrese. Molti dei caduti sestresi nella resistenza furono
militi volontari di questa associazione. Volontari nella Croce
Verde furono anche diversi esponenti di quella straordinaria
famiglia di anarchici e antifascisti sestresi che è stata la
famiglia Stanchi. Quattro degli otto figli del "sovversivo"
Edoardo (1855-1929) furono sempre in prima linea nelle battaglie
sindacali e politiche dal biennio rosso alla resistenza. Carlo
detto Carlin (1897-1981) e i suoi fratelli Dante (1891-1957),
Attilio (1894-1967) e Roberto (1900-1952) militanti anarchici e
dell'USI, parteciparono alle lotte del biennio rosso,
all'occupazione delle fabbriche e alla difesa della Camera del
Lavoro dagli attacchi delle squadre fasciste. Obbligati
all'esilio nel 1922 espatriano in Francia. Nel 1923 Attilio e
Carlo rientrano in Italia, mentre Dante e Roberto rimangono a
Marsiglia. Per i primi due si apre così una lunga stagione di
persecuzioni fasciste, di confino e di mancanza di lavoro. Dante
e Roberto nel 1936 vanno a combattere volontari in Spagna sotto
falsa identità e vi restano per tutta la durata della guerra.
Nel 1939 rientrano in Francia e allo scoppio della guerra
mondiale Dante ritorna a Sestri, dove si riunisce ai fratelli
rimasti e ne condivide le sorti. Due dei giovani Stanchi, Dario
(figlio di Enrico, fratello di Carlo e degli altri) e Walter
(figlio di Attilio) cadranno, uccisi dai tedeschi, in azioni
partigiane in Piemonte nei primi mesi del 1944. Walter non aveva
ancora diciassette anni 

giovedì 4 dicembre 2014

LA RIVOLUZIONE GENOVESE DEL 1746


Alla fine dell’estate 1746 Genova è costretta a cedere di fronte alla pressione degli eserciti austrosardi. La vecchia repubblica oligarchica si era decisa a entrare in guerra a fianco delle potenze borboniche (Spagna e Francia) - si tratta della guerra di successione austriaca - per contrastare in qualche modo le mire espansionistiche di Carlo Emanuele III di Savoia su Savona e Finale. Ma le sue energie erano scarse, e più scarse ancora erano quelle del ristretto gruppo oligarchico al potere, per di pm diviso in un’ala interventista e un’ala neutralista e filo-austriaca.
Le pesanti riparazioni imposte dagli austriaci spezzano il delicato equilibrio economico della repubblica, provocando inflazione e disoccupazione. Per alcune settimane un sordo malcontento serpeggia per la città, fino a che, il 5 dicembre 1746, un banale incidente da fuoco alle polveri: nel sestiere Portoria un gruppo di ragazzi risponde a sassate alle prepotenze di un ufficiale austriaco (episodio del “Balilla”).
Tra il 5 e il 10 dicembre si verificano scontri, disordinati e spontanei, fra austriaci e popolani, in un crescendo sempre più drammatico che il 10 sfocia in una vera e propria insurrezione generale. Chi sostiene inizialmente tatto il peso degli scontri e la "feccia più vile di Genova", come commenterà un anonimo aristocratico qualche tempo dopo: " garzon di tavernari, pattumai, ciabattini, fognai, facchini da carbone e da vino ", e infine "pescivendoli ".
Alla fine gli austriaci sono costretti ad abbandonare la città.
Il movimento insurrezionale si e dato un’embrionale struttura politico-militare nel corso della lotta stessa: gli uomini che hanno di fatto diretto le operazioni militari - Tommaso Assereto, Carlo Bava, Camillo Fiorentini - danno vita a un "Quartier generale de’ capi del popolo difensori della libertà ", la cui sede è fissata in via Balbi. A partire da questo momento a Genova si instaura una sorta di dualismo di potere, una direzione bicefala: il potere popolare, che trova una prima espressione nel quartier generale di via Balbi, e i serenissimi collegi - i tradizionali organismi di potere dell’oligarchia _ che hanno fatto da spettatori durante lo svilupparsi del movimento popolare.
L’atteggiamento dell’aristocrazia di fronte all’insurrezione non è unilineare. A parte un’esigua minoranza di nobili che si integra nel movimento - i << nobili popolari » la stragrande maggioranza dell'oligarchia intende da una approfittare degli avvenimenti in funzione anti-austriaca, dall’altra teme, per istinto di classe un possibile sbocco eversivo della dinamica degli avvenimenti. Il << magnifico » Matteo Franzone riassume efficacemente la situazione: " siamo tra due flagelli " (austriaci e popolo).
In realtà, la rivoluzione popolare, spontanea e disordinata nel suo sviluppo, non ha un preciso
programma politico ed economico, ed è destinata a essere recuperata dall'aristocrazia. Il 17 dicembre un’assemblea popolare si da un organismo direttivo: l’assemblea del popolo, composta di trentasei membri (dodici capipopolo, dodici rappresentanti delle Arti; dodici rappresentanti "dell’ordine più civile", cioè della nobiltà e dell'alta borghesia).
I primi provvedimenti dell’assemblea del popolo sono diretti a cercare di incanalare il movimento spontaneo, sforzandosi di mantenerlo entro gli orizzonti della lotta anti-austriaca.
Una serie di concessioni in materia economica da parte dell’oligarchia facilitano il raggiungimento di questo obiettivo.